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LEGGIAMO IL DEUTERONOMIO
28 - novembre - 2024
* Lettura 17 Dt 4,1 - 8 Osservare e custodire la Torah
Nei tre capitoli precedenti abbiamo riflettuto su di una sintetica rievocazione storica del cammino fatto da Israele a partire dall'Egitto fino alla conquista della Transgiordania e la sua suddivisione fra tre tribù.
Dal punto di vista strutturale il capitolo 4 può essere suddiviso in tre parti:
• un prologo vv 1-8 che cerca di motivare perché la Torah debba essere insegnata e custodita;
• un'accorata esortazione all'osservanza della Torah nella stessa forma dei trattati di alleanza dell'epoca 9-31;
• un epilogo 4,32-40 costituito da un pressante invito ad essere fedeli a JHWH sulla base di quanto Egli ha fatto per liberare Israele dalla schiavitù d'Egitto.
Fatte queste premesse passiamo ad una riflessione sul testo in questione perché è particolarmente importante.
Prima di esporre la Torah, che in effetti riguarderà soltanto il primo comandamento, che per certi versi riassume tutti gli altri, Mosè fa un accorato e appassionato invito a stare sempre in relazione con il Dio liberatore, JHWH.
Più che il discorso di un legislatore è il testamento di un padre che sta per lasciare i suoi figli. Abbiamo già detto che il Deuteronomio raccoglie gli ultimi quattro discorsi pronunciati, uno di seguito all'altro, nello stesso giorno prima di salire sul monte Nebo.
In questo breve invito troviamo quasi le ultime parole di un padre sul letto di morte.
Dt 4,1 «Ora dunque, Israele, ascolta i [huqqim e umispatim] disposizioni e norme che io vi insegno, perché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso del paese che JHWH, Dio dei vostri padri, sta per darvi. 2 Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi di JHWH Dio vostro che io vi comando. 3 I vostri occhi videro ciò che JHWH ha fatto a Baal-Peor: come JHWH tuo Dio abbia distrutto in mezzo a te quanti avevano seguito Baal-Peor; 4 ma voi che vi manteneste fedeli a JHWH vostro Dio siete oggi tutti in vita. 5 Vedete, io vi ho insegnato [huqqim e umispatim] disposizioni e norme come JHWH mio Dio mi ha ordinato, perché le mettiate in pratica nel paese in cui state per entrare per prenderne possesso. 6 Le osserverete dunque e le metterete in pratica perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente. 7 Infatti qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il JHWH nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? 8 E qual grande nazione ha [huqqim e umispatim] disposizioni e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi espongo?».
Abbiamo riportato i termini ebraici (con trascrizione semplificata) per mostrare la strutturazione del testo che usa la ripetizione delle parole, cosa che nei nostri temi d'italiano sarebbe segnata in rosso.
Per un confronto in prima battura riportiamo l'inizio del prologo del il Codice di Hammurabi (1700 a.C.) :
«Quando Anu il Sublime, Re dell’Anunaki, e Bel, il signore di Cielo e terra, che stabilirono la sorte del paese, assegnarono a Marduk, il pantocratore figlio di Ea, Dio della giustizia, il dominio su ogni uomo sulla faccia della terra, e lo resero grande fra gli Igigi, essi chiamarono Babilonia dal suo illustre nome, lo resero grande sulla terra, e vi fondarono un sempiterno regno, le cui fondamenta sono poste tanto saldamente quanto quelle di cielo e terra; poi Anu e Bel chiamarono per nome me, Hammurabi, il principe esaltato, che temeva dio, ad imporre la giustizia sul paese, a distruggere gli empi ed i malfattori; così avrei regnato sulla gente dalla-testa-nera come gli Shamash, ed illuminato il paese, per accrescere il benessere dell’umanità.....»
Il "Prologo" di Hammurabi poi procede con lo stesso tono per altre due pagine, ma noi comprendiamo al volo la differenza sostanziale: in questo le parole di un imperatore che si crede padrone dell'intera terra ed è lui stesso il legislatore, nel nostro testo sono le parole di un Padre che vuole lasciare un ricordo indelebile nel cuore dei suoi figli, ricordo che consiste nell'osservanza della Torah di JHWH. Non di Mosè che è solo il tramite.
Versetto 1
"Ora Israele ascolta..." questa espressione sta a dire che inizia un'altra parte del primo discorso di Mosè. La troveremo diverse volte ed anch'essa è uno dei modi che gli antichi usavano per strutturare il loro testi.
Però il verbo ascoltare è molto importante e ricorrente in tutta la Bibbia e particolarmente in Deuteronomio.
Certo per noi "ascoltare" dice qualcosa di più del semplice "udire", ma per l'ebraico e per quell'antico mondo che aveva in comune la medesima radice "shemah", aveva un significato molto più ampio: certo ascoltare, ma anche: comprendere, capire, in-tendere (cioè tendere verso) obbedire. Questo: "obbedire" ci avvicina a shemah "ascoltare" perché esso è etimologicamente "ob-audire", cioè un "ascoltare per...", quindi un ascolto finalizzato alla messa in opera di qualcosa; in definitiva un ascolto destinato ad un "agire". Forse è per questa traslazione di significati che nei testi soprattutto del Nuovo Testamento, in Paolo, troviamo spesso il verbo "obbedire".
Da subito Mosè non si pone come legislatore, ma come insegnante. Un appellativo in linea con il significato di Torah che come abbiamo già detto, non ha la nostra concezione legalistica, ma un significato più ampio che comprende: insegnare, istruire, apprendere, sperimentare, legiferare. Il che non è tanto fuori dalla nostra esperienza perché quando ci si rivolge ad un bambino si "spiega" come si deve comportare; e sappiamo che il comando imperativo può spesso suscitare la reazione contraria all'obbedienza.
C'è una condizione imperativa: "la messa in pratica" finalizzata al possesso della Terra.
Per gli ascoltatori dell'Esilio o del Post-esilio, questo suona più come spiegazione che come condizione, perché la Terra è già perduta. Allora si tratta di mettere in pratica la Torah perché si possa ricostituire il Regno d'Israele.
Se è così, questo suona come un forte messaggio di speranza per questa gente che ha perso tutto.
Versetto 2
L'integrità e l'immutabilità delle leggi nel tempo è una prescrizione comune a tutti i codici dell'Antico Vicino Oriente il cui significato è più che evidente. Però il contenuto di questo versetto sarà oggetto della prossima lettura.
Versetto 3
«3 I vostri occhi videro ciò che JHWH ha fatto a Baal-Peor: come JHWH tuo Dio abbia distrutto in mezzo a te quanti avevano seguito Baal-Peor;»
Qui la vicenda di Baal-Peor è semplicemente ricordata, ma non descritta. La sua narrazione la troviamo in Nm 25
Nm 25,1«Israele si stabilì a Sittim e il popolo cominciò a trescare con le figlie di Moab. 2 Esse invitarono il popolo ai sacrifici offerti ai loro dèi; il popolo mangiò e si prostrò davanti ai loro dèi. 3 Israele aderì al culto di Baal-Peor e l'ira di JHWH si accese contro Israele.
4 JHWH disse a Mosè: «Prendi tutti i capi del popolo e fa' appendere al palo i colpevoli, davanti a JHWH, al sole, perché l'ira ardente di JHWH si allontani da Israele». 5 Mosè disse ai giudici d'Israele: «Ognuno di voi uccida dei suoi uomini coloro che hanno aderito al culto di Baal-Peor». [...] 9 Di quel flagello morirono ventiquattromila persone».
Il fattaccio avvenne durante i quarant'anni di peregrinazione nel deserto quando Israele si accampò presso il confine con Moab, un popolo amico perché discendente da Lot, nipote di Abramo.
Il verbo "trescare" è piuttosto neutrale, ma sapendo che il culto di Ba'al comprendeva anche i riti della fertilità, con tanto di prostituzione sacra, ci si rende conto che si trattava di un tipo d'idolatria alquanto attraente, dal che si capisce l'elevato numero di vittime che la "pulizia" ha poi comportato: ventiquattromila! Allora questo evento doveva avere lasciato una grande impressione nel popolo, del quale molti avranno visto, fratelli, padri, ecc. finire in quel modo.
Possiamo sperare che il numero sia simbolico 12 x2x1000, vale a dire: due volte il numero del popolo moltiplicato per mille, per significare un numero elevato di vittime.
Versetto 4
«4 ma voi che vi manteneste fedeli a JHWH vostro Dio siete oggi tutti in vita».
Sembra di capire che l'osservanza della Torah sia condizione per restare in vita. La custodia della Torah consentirebbe una vita buona e felice oltre al possesso della Terra. Però un'osservanza che in questo caso riguarda il peccato d'idolatria, cioè il più grave.
Versetti 5-8
«5 Vedete, io vi ho insegnato [huqqim e umispatim] disposizioni e norme come JHWH mio Dio mi ha ordinato, perché le mettiate in pratica nel paese in cui state per entrare per prenderne possesso».
Ancora Mosè ribadisce la sua funzione di insegnate, perché il legislatore è Dio.
6 «Le osserverete dunque e le metterete in pratica perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente. 7 Infatti qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il JHWH nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? 8 E qual grande nazione ha [huqqim e umispatim] disposizioni e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi espongo?».
Ora il discorso acquista la chiave sapienziale. La messa in pratica della Torah è segno di saggezza perché la stessa Torah è saggia, al punto da suscitare meraviglie tra gli altri popoli.
Saggezza e intelligenza motivate, tra l'altro, della vicinanza di Dio, quel Dio che ha accompagnato il Suo popolo visibilmente attraverso il deserto guidandolo con una Nube durante il giorno e una Colonna di fuoco durante la notte.
Questa Torah viene messa in relazione alle leggi degli altri popoli non tanto per sottolinearne la saggezza, ma l'unicità: solo Israele ha un Dio così vicino.
Però tutto resta ancora condizionata dalla messa in pratica di questa Torah, unica al mondo.
A conclusione della lettura ci sia permessa una riflessione che si stacca dall'esegesi e si rivolge al mondo dell'ebraismo e in parte al nostro.
Nei primi quattro libri del Pentateuco vi è un Dio creatore e liberatore che sta alla testa e guida il suo popolo. Nel Deuteronomio si spiega il "perché" di questo. Perché "Dio ama il suo popolo" (ver.4). E per Israele il modo di corrispondere a questo amore è obbedire alla Sua Legge.
La Legge è il modo con cui Dio si fa vicino ad ogni uomo o donna del popolo senza bisogno di teofanie, di mediazioni sacerdotali, di monarchi o guide carismatiche.
Il Dio del Deuteronomio viene dopo i Profeti ed è intriso della loro predicazione.
E il Dio del Deuteronomio è vicino mentre cucini (la kasheruth), mentre ti alzi dal letto o ti corichi, mentre educhi i figli, mentre ti vesti o ti lavi e persino quando fai i tuoi bisogni (i 613 precetti).
E la vicinanza di Dio non dipende da una teoria teologica o filosofica, non dipende da dei dogmi, non richiede una particolare conoscenza di verità, ma solo da una prassi, da una fedeltà concreta, quotidiana.
Apparentemente il cristianesimo si è preso per strada attraverso dispute teologiche, libri di dogmatica, della "verità " come "conoscenza" mentre per l'ebreo verità è hemeth = fedeltà.
Però se ci pensiamo un poco ci rendiamo conto che già Benedetto da Norcia nato nel 480 aveva sviluppato una spiritualità che è stata sintetizzata nello "ora et labora". Ciò significa che tra preghiera e il lavoro, se praticato in modo consapevole, non c'è differenza. Sonno due modi diversi per stare vicini a Dio.
Nel nostro mondo del lavoro spesso siamo lontano da questa comprensione. Era più facile trovarla quando le attività lavorative erano prevalentemente agricole e gli stessi operatori impegnati nel mondo ecclesiastico provenivano da quel mondo. Oggi il lavoro e molto specializzato e parcellizzato al punto che molti operatori non conoscono il fine ultimo di quello che stanno facendo. Sarebbe consigliabile che ciascuno di tanto in tanto facesse una sosta per pensare che la sua attività alla fine è fatta per contribuire a rendere il mondo più abitabile. Senza dimenticare le ultime parole di Gesù alla fine del Vangelo di Matteo Mr 28,20 «Ecco, io sono con voi tutti giorni, fino alla fine del mondo». Una vicinanza non dipendente dalle nostre fragilità, ma garantita da Gesù stesso.
Segantini, Ave Maria