Vita di san Carlo -3
DAL 1567 AL 1572
INEVITABILITÀ DELLE PERSECUZIONI
Tutte le iniziative di bene avevano avuto un avvio facile e soddisfacente. Carlo doveva però attendersi difficoltà e opposizioni che un Vescovo incontra quando decide di riformare i costumi corrotti di una città molto importante. È che l'avversario di ogni cosa buona e seminatore di tutti i mali cerca sempre di impedire gli sforzi del bene e di sbarrare tutte le vie della salvezza. Egli scuote chi è vittima del male e incita alla ribellione stimolando l'avarizia, la lussuria, la superbia per suscitare contro i Pastori zelanti avversari accaniti.
Inoltre, parecchi di coloro che comandano sui popoli non tollerano di avere al loro fianco un'altra autorità. Protestano e ricorrono alla violenza contro l'autorità religiosa.
Se poi Principi e Signori sembrano tolleranti, allora non mancano dei subalterni i quali si mostrano così zelanti da fare ciò che quelli né ordinano né vogliono, pensando di guadagnarsi in tal modo il loro favore. Altri o tacciono, per paura, o non vengono affatto ascoltati quando parlano.
Così in una città buona e religiosa, con un Sovrano parimenti buono e cattolico, sono pronte per i Vescovi molte difficoltà, spesso molte ingiurie, accuse e persino torture. Solo dove non ci fossero vizi e passioni, dove il diavolo non avesse potere alcuno, lì il Vescovo non troverebbe avversari e opposizione.
E questo è quello che avvenne anche a Milano.
Carlo, sempre più impegnato nella riforma e nel riordinamento della sua Chiesa, aveva citato al suo tribunale certi laici e ne aveva anche fatti imprigionare alcuni dalle sue guardie. Allora certuni si misero a protestare contro il Vescovo.
E Carlo, dopo essersi consultato con dei giurisperiti, giudicava di avere diritto a tutti questi mezzi, sia per l'autorità dei canoni ecclesiastici, sia perché senza di essi la potestà della Chiesa non era più libera, né si poteva frenare la licenza dei vizi, né eseguire l'ufficio di Vescovo.
Tuttavia, per ridurre al minimo i motivi di frizione, soprattutto verso i magistrati a cui prima d'allora mai era capitato di incontrare Vescovi che arrestavano fedeli, cercò di dimostrare e difendere il proprio diritto in forma privata e amichevole. In primo luogo, fece in modo che nessuno trovasse pretesto di opposizione all'edizione e alla promulgazione delle Costituzioni Conciliari. I volumi di queste leggi, richiesti da ogni parte, furono dappertutto di grande aiuto alla celebrazione dei diversi Concili nelle Diocesi ed alla composizione sul loro modello di ottime leggi per il clero e le popolazioni, per ricondurre i costumi al senso cristiano e restaurare la vita religiosa. Chiunque infatti era ansioso della riforma ecclesiastica, li leggeva avidamente e i Vescovi ne traevano, come da una fonte, ispirazione per la stesura delle loro leggi e l'esercizio del loro governo.
Purtroppo queste costituzioni suscitarono l'opposizione del Clero cittadino, nonostante il dissenso del Capitolo della Cattedrale. Ci fu opposizione anche tra i Religiosi. Molte monache, mal consigliate, cercarono di resistere e, per mezzo dei loro parenti, di impedire gli sforzi dell'Arcivescovo. Ma, ben presto, apparve con chiarezza che il ristabilimento della disciplina non giovò soltanto al loro spirito, ma anche al bene ed alla tranquillità della loro vita fisica.
A tutta questa opposizione s'aggiungevano dicerie che creavano a Carlo grandi difficoltà. Molti dicevano che il suo ardente zelo nell'apostolato era esagerato. Altri insinuavano che agiva in tal modo specialmente per attirarsi fama di santità e creavano anche il sospetto di chi sa quali vizi nascosti. I più comprensivi invocavano un po' di senno e di prudenza ed attribuivano gli sbagli alla sua giovane età o ai consigli di persone religiose che mancavano dell'esperienza di governo.
In realtà, Carlo compiva dei gesti forti, perché lo esigeva l'opera di riforma da lui intrapresa e lo suggeriva quella rettitudine che Dio, come specialissimo dono, gli aveva concesso. Alla pari, la diffusa e inveterata corruzione richiedeva un grande sforzo al Vescovo, sempre che si volesse garantirgli per il futuro un governo facile e spedito.
IL NUOVO HA SEMPRE UN COSTO
Certo, tutto ciò costava a Carlo fatiche, sofferenze e pene rilevanti. Lui era perfettamente consapevole del fatto che nella Chiesa di Milano, come in una vigna incolta, avendo trovato ogni cosa talmente soffocata da spine e rovi, non poteva risparmiarsi fatiche. Non poteva neppure sottostare a condiscendenza o tolleranza. Bisognava sradicare il male, confermare il bene e seminare quello che ancora mancava.
A chi gli consigliava prudenza e moderazione, chiedeva consigli concreti per scoprire difetti personali e individuare suoi eventuali errori. Non voleva, infatti, che un'opera salutare iniziata così bene venisse malamente intralciata.
Intanto, con preghiere e quotidiane penitenze implorava assiduamente l'aiuto del Signore. Affermava: «Mi opponevo agli assalti dei miei nemici con il cilicio».
Alla mortificazione corporale affiancò sobrietà e povertà. Ridusse progressivamente i servi. Distribuì tra le Chiese di Roma e di Milano moltissimi tappeti, cortine per i letti, baldacchini da sala, oggetti e vasi d'argento. Regalò le statue, o la massima parte di esse, che erano opere egregie dell'antichità, alle chiese perché le vendessero; il resto fece vendere lui stesso e ne destinò il guadagno a scopi di culto e di carità.
Dei suoi doni rimangono, tra l'altro, nella Cattedrale di Milano a suo più splendido ornamento alcuni arazzi intessuti con fili di seta e d'oro, che rappresentano storie sacre dell'Antico Testamento; grandissimi vasi d'argento dorato da esporre nei pontificali; una bellissima e preziosissima tavoletta per porgere la pace. Rinunciò poi ai vari benefici perché una loro corretta amministrazione gli impediva la cura d'anime, la direzione dei monasteri o l'esercizio del suo governo.
E questo doveva consentirgli di offrire esempi concreti a tutti quanti erano parte della Chiesa. Inoltre, generosamente concesse alcune pensioni che soleva ricavare da certe chiese in Italia, in Portogallo e nelle Fiandre, a favore di quelle chiese che avevano scarsi proventi.
CANONICI DELLA SCALA E ATTENTATO
Carlo aveva un senso molto basso di se stesso. Al contrario aveva un senso altissimo dei diritti propri della Chiesa e del suo ufficio di Vescovo. Trascurava pertanto la sua persona. Ma difese strenuamente ad oltranza dignità e autorità del diritto sacro, senza però mai cercare una qualsiasi usurpazione dei diritti del Re o dei Magistrati. Va chiarito però il fatto che Carlo cercava in ogni modo di difendere l'autorità della Chiesa e del Vescovo perché nella società permanesse sempre intatta la giustizia che Gesù aveva portato sulla terra. E, salvaguardando questa giustizia, Chiesa e Vescovo si impegnavano a estirpare dalla società il male. In questo modo, a partire dai più poveri e indifesi, era a tutti assicurata la pace e la gioia di vivere.
Il potere civile e quello religioso si scontrarono in modo gravissimo a partire da un caso sollevato dal Collegio dei Canonici della Scala. Carlo chiese di svolgere una visita ufficiale nel loro convento. Canonici e Magistrati vi si opposero affermando che quella Chiesa era esente dall'autorità dell'Arcivescovo per una non chiara concessione di Clemente VII. I Canonici giunsero volutamente allo scontro, accusando Carlo di arrogarsi poteri che non aveva e, in tal modo, gli attribuivano la volontà di forzare sia i diritti del Re, da cui i Canonici dipendevano, e sia lo stesso volere del Papa.
Carlo fissò per il 30 agosto 1569 la visita canonica. Al suo arrivo i Canonici si erano rinchiusi nel cimitero del convento. Quando Carlo entrò, fu cacciato fuori a insulti e a colpi di spintoni. Alla scomunica i Canonici risposero dichiarando interdetto l'Arcivescovo colpevole, secondo il loro avvocato, di avere infranto gli editti del Re e il volere del Papa. Sulle prime il Governatore di Milano si schierò dalla parte dei Canonici.
La vicenda ebbe comunque uno sviluppo imprevisto e tremendo. Il successivo 26 ottobre nella cappella privata dell'Arcivescovo un frate degli Umiliati sparò un colpo di archibugio contro Carlo. L'Arcivescovo restò miracolosamente illeso, perché i pallettoni, anziché conficcarsi nel corpo, scivolarono lungo i vestiti. A questo punto Carlo venne difeso dal Governatore e, subito, anche dal Re di Spagna. I Canonici vennero scomunicati e gli Umiliati soppressi.
Di notevole importanza pastorale fu nel 1571 l'iniziativa che consentì a Carlo di bloccare le degenerazioni immorali delle feste del Carnevale. Riprendendo l'invito del Papa a indire pubbliche preghiere nell'imminenza della gravissima guerra contro i Turchi, Carlo organizzò in Milano funzioni penitenziali. E, nel giorno in cui la degenerazione diventava massima, Carlo invitò il popolo a confessarsi e poi a ricevere da lui stesso l'Eucaristia. In quell'occasione si ebbe una straordinaria prova della religiosità di Milano. Contrariamente al solito, si accostò ai sacramenti una folla così grande, che a stento in sei ore Carlo poté accontentare tutti benché, nel distribuire la Santa Comunione, fosse aiutato da due canonici.
Nel frattempo la salute dell'Arcivescovo venne gravemente meno. La logorante fatica di riorganizzare e migliorare la Chiesa e di difenderne i diritti era affiancata da una dura austerità di vita penitente. I suoi amici lo pregavano di prendersi cura della sua salute e lo ammonivano che se gli fosse capitato qualche serio inconveniente, tutte le splendide opere iniziate sarebbero crollate ed egli avrebbe dovuto renderne conto a Dio. Ma Carlo rispondeva loro: «che li ringraziava perché erano così solleciti della salute del suo corpo, ma li pregava che non lo fossero di meno per quella della sua anima. Il fondamento delle opere spirituali andava riposto in Dio».
Intanto nel mese di giugno 1571 si aggravò talmente da correre non leggero pericolo di morte. Nel maggio del 1572 morì Pio V. I medici pensavano non fosse prudente il viaggio a Roma per il Conclave. Ma Carlo fu irremovibile nel decidere la partenza. E, misteriosamente, quel viaggio lo rinvigorì non poco. E, quando rientrerà a Milano, il ritorno della buona salute gli consentì di dedicarsi ai doveri ed alle fatiche pastorali con uno slancio nuovo e misterioso.
L'elezione del nuovo Papa consentì a Carlo di realizzare il progetto di vita che da tempo stava inseguendo, senza mai riuscire a raggiungerlo.
Anche il nuovo Papa, Gregorio XIII, ascoltava ben volentieri i suoi suggerimenti perché lo riconosceva uomo dotato di grandi virtù. Per potere eseguire meglio la riforma, lo invitò a fermarsi a Roma come consigliere, tenendo con sé i suoi validissimi collaboratori. Tra questi, il Papa ne scelse alcuni come suoi personali collaboratori.
Durante questo nuovo soggiorno romano impresse alla sua vita un tono di maggiore austerità. Ciò gli consentiva di proporre a quanti lo avvicinavano per lavoro consigli spirituali con una forza tanto carica di spontaneità da risultare notevolmente convincente. In particolare, si preoccupò di avvicinare singolarmente parecchi Cardinali e con severa libertà li ammonì ricordando il bene che la Cristianità richiedeva da loro come Principi della Chiesa di Dio. Ad alcuni poi espose anche i motivi loro particolari per cui più degli altri dovevano dedicarsi alla santità. Tale intervento, anche se non a tutti gradito, produsse tuttavia in parecchi un forte incitamento alla ricerca sincera e operosa della santità.
Infine, nel viaggio di ritorno, giunse, la vigilia della festa di Tutti i Santi, al Santuario della Casa di Loreto. Qui, commosso dalla santità del luogo e dalla solennità della festa, imitando le antiche vigilie, vegliò per tutta la notte nella santa cappella della beatissima Vergine.
Raggiunta Milano, nel giro di alcuni mesi riuscì finalmente a liberarsi degli incarichi e degli onori che gli impedivano di dedicarsi completamente, come desiderava, al governo ed alla custodia della sua Chiesa.
Così, abbandonò totalmente e per sempre rendite, uffici, onori grandissimi. Ma così egli poté dedicarsi completamente al culto di Dio, più importante di tutte le ricchezze umane, e alla custodia della sua Chiesa, con uno slancio e un impegno più grandi che mai.