Santa Maria del Monte a Varese

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Nel periodo tra il 1400 ed il 1700, nell'area che si estende tra la Lombardia occidentale ed il Piemonte orientale, con qualche punta a Sud come Crea e S. Vivaldo in Val d'Elsa, furono costruiti i "Sacri Monti" collocati su colli o su basse montagne. Alla base delle costruzioni dei Sacri Monti fu il bisogno di riprodurre e di riproporre all'attenzione dei credenti i luoghi palestinesi, testimoni della Vita, della Passione e della Risurrezione di Gesù Cristo in tempi difficili (sec. XV-XVIII), a causa del dilagare delle conquiste turche che sconsigliavano la visita personale dei luoghi santi.

Il monte o il colle scelto per la riproduzione dei luoghi palestinesi non fu certo casuale; infatti esso per sua configurazione e per connotazione fisica, oltre che per l'interpretazione allegorica, rappresenta l'elemento essenziale. Esso simboleggia l'ascesa, la tensione dell'uomo verso Dio; pertanto il monte si configura come meta ideale del pellegrinaggio dell'uomo.

Oggi i più importanti, conosciuti e meglio conservati, Sacri Monti, sono quelli di Varallo di Orta e di Varese.

 

LA BASILICA NEL TEMPO

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Con certezza si sa che nel sec. VIII la Chiesa esisteva ed era chiamata "Basilica de Monte di Vellate" e già era meta di pellegrini. Non si hanno documenti dei secoli precedenti, né pare conveniente riferire la leggenda o la tradizione. I documenti più antichi esistenti nell'Archivio di Stato a Milano portano la data del 922 e parlano di donazioni fatte in tempi precedenti e da persone lontane all'epoca della "Basilica de Monte di Vellate" per l'applicazione di S. Messe o altri uffici divini. La notizia è riportata nella "Cronaca di Varese" di Adamollo-Grossi.

Dopo il Mille la chiesa fu ampliata e poiché mancava lo spazio, essa fu costruita ad un livello più elevato dove era possibile una espansione, per cui la chiesa primitiva è oggi la cripta che si trova sotto l'altare maggiore. Il Bussero, che con pazienza descrisse tutti i luoghi santi e le chiese della Diocesi di Milano fra il 1288 e il 1311, scrive che "… il Monte non più chiamavasi di Velate, ma già di Santa Maria e la chiesa doveva essere di una certa ampiezza poiché oltre all'altare della Madonna aveva altari dedicati a San Giovanni Battista, ove si battezzava, a San Giacomo di Zebedeo, a San Michele e forse a San Salvatore".

La Chiesa fu ampliata verso la fine del XV secolo e da allora non è più mutata nella struttura architettonica. I lavori di ampliamento e di ricostruzione furono possibili per la munificenza degli Sforza, duchi di Milano e fra questi Lodovico Maria Sforza, "il Moro", i cui stemmi si possono notare sui capitelli delle colonne interne. Il direttore dei lavori fu l'architetto ducale Bartolomeo da Cremona detto "il Gadio", che si avvalse della collaborazione dell'architetto Benedetto Ferrini da Firenze. I lavori iniziarono nel 1472 e terminarono nel 1476. Nel l518 il capitano Gian Giacomo Trivulzio fece costruire a sue spese il pronao o portico d'ingresso alla Basilica. Gli stemmi gentilizi del Trivulzio e della marchesa Beatrice d'Avalos si trovano sui capitelli delle colonne. Recenti lavori di restauro hanno messo in luce una facciata romanica celata dagli interventi che si sono susseguiti nei secoli. Nel 1613 il porticato, rovinato dal tempo, fu rifatto nella forma attuale a cura del Monastero. Nel 1531 le monache fecero costruire l'organo da Gian Giacomo Antegnati da Gozzano; distrutto dal fulmine nel 1831 fu ricostruito da Eugenio Maroni Biroldi da Varese. Nel 1532 il duca di Milano Francesco II Sforza, fece costruire, a sue spese, il portale sul fianco a levante della basilica.

 

La Cripta

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Sotto l'altare maggiore c'è l'antica Cripta, vero gioiello d'arte. E' un locale di circa m. 7 per m. 5, con volta a nervature, sorretta da colonne di stile romanico e databile all'inizio del 1000. L'accesso alla Cripta è alquanto faticoso a causa dei lavori eseguiti, in epoca successiva, per la costruzione della chiesa superiore. Gli affreschi della Cripta si possono datare tra il 1300 e il 1400.

Il complesso della Cripta del Santuario di Santa Maria del Monte si propone come uno dei monumenti più ricchi, articolati ed eloquenti della Varese antica, ove le indagini archeologiche hanno rivelato una straordinaria stratificazione, che dai tempi dell'Impero Romano giunge al maturo Medioevo.

Entrando si ha l’impressione di ripercorrere la storia di Varese, cogliendo l'evoluzione della vita della Chiesa: dalla costruzione del primo edificio per piccole assemblee di preghiera alla creazione di un primo luogo di culto; segue poi la sistemazione medievale e infine la costruzione dell’attuale basilica.

Tutto invita a percepire la bellezza e la forza di una fede, che ha ispirato generazioni di credenti (vescovi, presbiteri, religiosi e religiose, fedeli laici), rendendoli “artifices Dei”, testimoni dell'invisibile, collaboratori della sua grazia, annunciatori del suo Vangelo.

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Lo scavo nella Cripta romanica

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Nel 2013, lo scavo nella piccola Cripta romanica a tre navate voltate, ha individuato alcuni rilevanti lacerti murari e pavimentali che documentano chiaramente la preesistenza di un ben più antico edificio di culto mariano, a oggi non noto. Si tratta dei resti murari dell’emiciclo absidale di un sacello intonacato, orientato a Est. La chiesa dovette avere avuto un utilizzo prolungato, con vari rifacimenti. Ciò è attestato dalla sequenza, all’interno dell’abside, di due pavimenti sovrapposti in malta di cocciopesto, il primo su vespaio in ciottoli e da un terzo rifacimento, in malta bianca, della superficie del secondo pavimento. In via preliminare, i reperti e le strutture emerse potrebbero inquadrare la chiesa all’ambito del v-vi secolo. Gli studi puntuali dei reperti e delle strutture permetteranno di avere un quadro più preciso. Questa chiesa originaria venne abbattuta in età carolingio-ottoniana per edificare, ex novo e in forma ampliata, una nuova cappella, il cui presbiterio absidato è giunto fino a noi, trasformato nell’odierna Cripta romanica. Infine, è di non poco interesse rilevare come tutti gli edifici di culto di S. Maria, nonostante gli ampliamenti e le trasformazioni intervenute, abbiano fondato il proprio altare sull’area della precedente mensa liturgica, che ora si rivela essere quella del sacello originario, posto in evidenza dagli scavi; si segnala comunque che vi è un leggero cambiamento di asse tra il primo edificio di culto e i successivi.

 

L’intervento strutturale

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La volontà di riaprire al pubblico la cripta, ha determinato l’opportunità di rimuovere l’intervento di consolidamento effettuato nel 1931, consistente nella formazione di pilastri e putrelle, senza pregiudicare la sicurezza delle volte e del soprastante altare. L’inserimento della struttura di presidio venne effettuata per contrastare il peso dell’altare seicentesco (realizzato nel 1660-1662), che insiste esattamente sopra l’ambiente della cripta. La soluzione ideata ha visto l’inserimento di una nuova struttura metallica (una sorta di gazebo strutturale), atta a sorreggere il peso del sovrastante altare, offrendo al visitatore una visione completa del ciclo di affreschi, prima limitata dagli invasivi elementi di presidio, dei quali è visibile una testimonianza nella parete rocciosa a nord. La struttura, formata da puntellazioni metalliche arcuate, si affianca strutturalmente alle colonne lapidee esistenti, funzionando in parallelo con esse e contribuendo a sgravarne parzialmente i carichi, consentendo così l’eliminazione dei pilastri murari. La geometria di questa struttura metallica è stata studiata per evitare la completa copertura delle lonne in pietra esistenti, lasciando intravedere l’originaria struttura.

 

Gli affreschi riscoperti

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Affreschi prima del restauro

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Gli affreschi che ornano la cripta sono del quattordicesimo secolo, anche se gli studiosi non sono concordi sulla loro datazione: secondo alcuni infatti le diverse scene sono state eseguite tra il 1360 e il 1370 mentre per altri la loro esecuzione va avanzata ai primi anni del XV secolo, a causa di caratteri stilistici simili a quelli presentati dagli affreschi della Schirannetta di Casbeno datati 1408.

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Ma i lavori più importanti hanno riguardato il corridoio d’ingresso alla cripta, che corrisponde al fianco esterno dell’antica chiesa romanica, dove i recenti restauri hanno riportato in luce due grandi affreschi. Il più antico , che si può far risalire al 3°-4° decennio del XV secolo, raffigura un donatore che ringrazia la Vergine col Bambino per la liberazione dalla prigionia. 

Lo affiancano San Leonardo, invocato dai prigionieri, e Santa Caterina d’Alessandria. L’affresco rispecchia lo stile del gotico-internazionale sia nell’architettura gotica, adottata nella costruzione del Duomo di Milano, sia nella profusione di dettagli preziosi come i bottoni delle vesti, le corone e le aureole realizzati in leggero rilievo dorato.

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Di poco successivo è l’altro affresco, purtroppo molto danneggiato in passato, raffigurante l’Annunciazione. La figura di Maria che era rimasta nascosta – e protetta – dal contrafforte ora demolito, è la meglio conservata. E’ opera di un artista locale, che non rinuncia al gusto del gotico fiorito esemplificato dal trono sul quale è seduta; tuttavia la fluida stesura dei panneggi e la tridimensionalità della figura richiama i personaggi allungati e sinuosi di Masolino da Panicale, attivo a Castiglione Olona per il cardinale Branda intorno al 1435.

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I lavori di demolizione del contrafforte hanno permesso di scoprire, infine, un affresco più piccolo dei precedenti, ma coevo, raffigurante una Madonna con Bambino: per questo la prima sala di entrata ora è chiamata “la sala delle tre madonne”.

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Natività: l’angelo indica il Bambino che è in fasce nella mangiatoia,ma che è anche in una tinozza, nudo e benedicente, assistito da due donne.

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San Michele e santa: San Michele, capo delle milizie celesti, con una lancia infilza il diavolo a terra, che cerca di ostacolarlo nella pesatura delle anime. È difficile identificare la santa accanto con una sottile croce in mano. 

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La Trinità tra San Giovanni Battista e San Bartolomeo: Dio Padre, seduto in trono, regge la appare delineato in perfetta simmetria; è un’immagine che sta quasi davanti e non sopra al panno bianco.

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Crocifissione: Cristo è su una croce bassa. La Vergine è in piedi a destra del Figlio, addolorata e forte nello stesso tempo. San Giovanni esprime il suo dolore con il viso e con il corpo nella postura tipica del dolente.

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Cristo Risorto: Cristo Risorto impugna un labaro svolazzante, il vessillo con la croce rossa inscritta

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Sant’Ambrogio: indossa la mitria e regge, oltre a un libro, il pastorale, bastone di colui che dal 374 fu a capo del gregge della Diocesi di Milano. Insieme al suo nome, lo qualifica come Sant’Ambrogio lo staffile che tiene nella mano destra:
il flagello è simbolo della forza con cui contrastò le eresie e in particolare l’eresia ariana. 

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Santa Caterina d’Alessandria: Santa onnipresente nell’Europa medievale, è tra le più rappresentate nell’arte lombarda del Trecento; nella cripta è l’unica che compare due volte. Caterina d’Alessandria d’Egitto, martire come indica la palma nella mano destra, si individua per la corona e la ruota, rappresentata sia piccola, sia grande appoggiata a terra.

Santo Stefano: indossa vesti diaconali (la dalmatica e la stola di molto più piccole di lui; la Vergine è seduta sul giaciglio; Giuseppe sta in disparte. 

Santa martire: è impossibile al momento identificare questa santa, che tuttavia la palma nella mano destra qualifica come martire.
Sant’Orsola (?): indossa la corona perché, secondo la legge.

Santa Maria Maddalena: è rappresentata vestita solo dai suoi lunghissimi capelli. È un’iconografia che trae origine dalla leggenda secondo la quale la santa avrebbe trascorso gli ultimi trent’anni in solitudine nel deserto, coperta croce con il Figlio; tra loro si intravede la colomba dello Spirito Santo. Questo tipo di rappresentazione trinitaria è chiamata anche Trono di grazia. A sinistra è San Giovanni Battista che indica l’Agnello di Dio e tiene in mano un cartiglio quasi illeggibile. A destra è l’apostolo San Bartolomeo che mostra il coltello, strumento di martirio.

Sant’Apollonia: Apollonia è identificabile per la tenaglia con il dente, a ricordo delle torture che precedettero il martirio, subìto intorno alla metà del III secolo. Il pittore di S. Maria del Monte ha preferito mettere nell’altra mano un libro, e non la palma del martirio, per comunicare innanzitutto la fedeltà alla Parola.